12/05/2020
Il mutuo maggiore del prezzo consente l’accertamento del reddito d’impresa
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Nuovo appuntamento per la rubrica della Borsa Immobiliare di Roma "Strumenti Mercati Novità". Affrontiamo oggi un tema di interesse per quei mediatori immobiliari che hanno tra i propri clienti le imprese e che offrono, in sede di trattativa, anche una prima assistenza di carattere fiscale.
Nelle seguenti brevi note, il dott. Roberto La Rosa svolge
talune considerazioni su una recentissima ordinanza della Corte di Cassazione,
che si è espressa su un accertamento fiscale basato sulla differenza tra mutuo
e prezzo d'acquisto dichiarato.
Mettiamo
a disposizione dei lettori anche la possibilità di inviare note o commenti:
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FDB
Al fine di un
miglior inquadramento del principio ribadito dalla Corte di Cassazione è utile
una breve introduzione.
L’accertamento
analitico induttivo è una delle metodologie accertative dei redditi determinati
in base alle scritture contabili, prevista dall’art. 39 del d.P.R. 600/1973.
Con questo procedimento, l’Ufficio erariale giunge alla quantificazione del reddito imputabile al contribuente attraverso la rettifica di singoli elementi attivi e/o passivi ritenuti falsi, incompleti e/o inesatti (sebbene nell’ambito di una contabilità giudicata nel complesso attendibile), anche sulla base di presunzioni munite dei requisiti della gravità, della precisione e della concordanza.
Ebbene, in
relazione a detta metodologia, la Corte di Cassazione, con ord. 29/4/2020, n.
8333, ha affermato che: “ai fini
dell’accertamento del maggior reddito d’impresa, lo scostamento tra l’importo
dei mutui ed i minori prezzi indicati dal venditore è sufficiente a fondare la
rettifica dei corrispettivi dichiarati, non comportando ciò alcuna violazione
delle norme in materia di onere probatorio (Cass. n. 26485 del 21/12/2016;
Cass. n. 7857 del 20/4/2016; Cass. n. 14388 del 9/6/2017) e non potendosi
escludere in materia di presunzioni semplici che l’accertamento trovi
fondamento anche su un unico elemento presuntivo”.
Pertanto, il divario tra l’importo del
mutuo erogato (dalla banca all’acquirente) e il prezzo dichiarato nell’atto di
compravendita costituisce elemento idoneo a configurare una presunzione grave e
precisa, sufficiente, di per sé, a supportare la rettifica dei ricavi
dell’impresa (che ha venduto l’immobile).
Tale pronuncia non è isolata. Ai precedenti
giurisprudenziali richiamati nell’ordinanza in commento si aggiunge la recente
ord. 4/2/2020 n. 2481.
L’ord.
2481/2020 merita menzione perché, in questa, la Suprema Corte ha esplicato la
ragione per cui la presunzione de qua
riveste i caratteri della gravità e della precisione, osservando che: “l’importo del mutuo erogato dalla banche, in
genere, è coperto dal valore dell’immobile sul quale viene iscritta l’ipoteca,
per consentire all’istituto di credito, in caso di mancata restituzione delle
somme, di recuperale con l’azione esecutiva sull’immobile. Peraltro, secondo la
deliberazione 22 aprile 1995 del Comitato Interministeriale per il Credito ed
il Risparmio "l’ammontare massimo dei finanziamenti di reddito fondiario è
pari all’80 per cento del valore dei beni ipotecati. Tale percentuale può
essere elevata fino al 100 per cento qualora vengano prestate garanzie
integrative". Analogamente la Circolare della Banca d'Italia n.229 del 21
aprile 1999, Titolo V cap.1, sez. II, stabilisce che "Le banche possono
concedere finanziamenti di credito fondiario per un ammontare massimo pari
all’80 per cento del valore dei beni immobili ipotecati".”
Da tale contesto traggo lo spunto per brevi
riflessioni.
A meno che non sussistano altri e
concorrenti indizi, assumere che la sola differenza tra mutuo e prezzo
dichiarato possa (costituire una presunzione “qualificata” tale da) sorreggere
una rettifica dei ricavi pare eccessivamente penalizzante per l’impresa
cedente.
Se non altro perché il venditore non ha
mezzi per conoscere l’ammontare del mutuo richiesto dal cliente, anche
considerato che il contratto di mutuo per la cd. “prima casa” può essere
stipulato entro un anno dall’acquisto dell’immobile (art. 15, comma 1, lett. b,
d.P.R. 917/1986). Peraltro, anche ove fosse al corrente dell’importo del mutuo,
l’alienante non potrebbe chiedere all’acquirente giustificazioni circa l’uso
fatto della maggiore somma mutuata.
Uno spiraglio in tal senso si intravede in
entrambe le citate ordinanze, nelle quali è dato spazio sia alla valutazione
della rilevanza di tale divario da parte del giudice di merito, sia alla
relativa motivazione della sentenza.
Ritengo
dunque che un problema del genere difficilmente possa riguardare una “comune”
operazione di compravendita, dove il fisiologico conflitto di interessi tra le
parti contrattuali conduce alla pattuizione di un prezzo congruo e in linea col
valore dell’immobile (cui sarà parametrato il mutuo).
Non pare che una qualsiasi divergenza tra
mutuo e prezzo possa giustificare le attenzioni dei competenti Uffici, la cui
ragionevole e imparziale azione mira a indagare le fattispecie in cui tale
scostamento sia sproporzionato e/o non spiegabile secondo logiche ordinarie o
alla luce di situazioni eccezionali (es. impresa a rischio di insolvenza che,
per procurarsi liquidità, si disfà di un immobile ad un prezzo sensibilmente
inferiore al valore, come poi periziato dalla banca).
(firmato) dott. Roberto La Rosa